Usiamole, le orecchie!

Gianluca Barbaro
Durante una breve vacanza presso uno dei laghi del nord Italia, vicino al confine con la Svizzera, mi sono di recente imbattuto in un recital a violino solo, uno dei pochi eventi musicali del luogo in quel periodo. Andare a sentire questo concerto è stato molto utile, perché ha smentito un luogo comune al quale, in effetti, credevo abbastanza, ovvero: non esistono violinisti stonati (almeno fra quelli che vanno in giro a fare concerti).
Si può discutere dell'intonazione di quasi qualunque intervallo, dato il contesto giusto: allarghiamo o restringiamo quinte, terze e seste a piacimento, toni grandi e toni piccoli, qualunque cosa vogliate purché possiate giustificarla… ma un'ottava è un'ottava, purtroppo per questa violinista sedicente professionista e concertista in tutt'Europa, le cui ottave erano altrettanto errabonde (per non parlare degli altri intervalli). Riporto anche, perché servirà oltre, l'inusuale lentezza alla quale ha eseguito alcune variazioni di Paganini, per "contemplarne meglio le sfumature melodiche" o qualcosa del genere.

Il flauto dolce come il violino
È cosa nota che fra i due strumenti ci sia molto in comune: parte del registro, la velocità di emissione, l'intercambiabilità di parte del repertorio (non solo il flauto dolce "ruba" al violino, ma a volte accade anche l'opposto), la difficoltà di intonazione e la ricerca del "suono".
Il mio pregiudizio riguardo ai violinisti in realtà era il seguente: che non ci fossero in giro a suonare tanti violinisti non diplomati e che quelli diplomati non avessero problemi d'intonazione. Eccezioni a parte, credo che quanto sopra corrisponda tutto sommato al vero, se consideriamo anche l'alta "mortalità" fra gli studenti di questo strumento (il che vuol dire che la selezione prima del diploma è molto forte).
Non dovrebbe essere così anche per il flauto dolce? Non c'è da aspettarsi che in giro non ci siano flautisti dolci stonati?

Il flauto dolce non come il violino
I punti di divergenza fra i due strumenti possono essere tanti, dal meno ovvio al più banale, il primo dei quali è che un violino fuori dal finestrino di un'auto in corsa non emetterà alcun suono, mentre il flauto dolce sì, con la giusta angolazione… Sarà per questo che nessuno si sogna di dare un violino di plastica a tutti i ragazzini delle medie, mentre lo si fa per il flauto dolce… Il problema è anche peggiore: immaginate di dare a degli undicenni dei violini di plastica che debbano imparare a suonare da un insegnante che non abbia la minima idea di come si suoni il violino. Ma è quello che accade col flauto dolce.
C'è anche un'altra differenza: a parte alcuni casi eccezionali (e anche letterari, come quello di Sherlock Holmes) non mi risulta che il mondo sia infestato da amatori di violino che, senza imparare a usare l'archetto, a reggere lo strumento, a intonare le note, vadano in giro a suonare contenti delle loro performance.
Ok, va bene, qualche amatore di violino stonato in giro si trova ma, come dire, sembra che sul violino non si abbia vita tanto facile: nessuno tollera un violino stonato, mentre il flauto dolce, ormai, sembra rappresentare una partita persa nel pregiudizio della gente.

Se non siamo intonati, cosa siamo?
Se lo chiedeva retoricamente un bravo insegnante, in una lezione che presi da lui qualche anno fa. Naturalmente qui non stiamo parlando di "stecche" fortuite: quelle le prendiamo tutti, fa parte del rischio di esibirsi in pubblico. Stiamo parlando invece di problemi "sistemici", dove l'intonazione è quasi sempre sbagliata.
In questo caso, se non siamo intonati non possiamo nemmeno avere suono, per almeno un paio di buone ragioni: la prima riguarda la fisica acustica e qui la sorvolerò limitandomi a dire che è in parte fisicamente impossibile avere una buona proiezione di suono e una ricchezza di timbro se non siamo più che intonati (addirittura nel senso di intonazione "pura").
La seconda ragione è che se non siamo intonati è perché abbiamo qualche più o meno grave lacuna nella nostra tecnica di emissione (e nelle nostre orecchie) che quasi certamente coinvolgerà aspetti timbrici (oltre che di lingua e dita: ecco perché la violinista di cui sopra eseguiva Paganini così lentamente…). Ovvero: essere intonati è una sorta di cartina di tornasole del nostro stato di salute tecnico sullo strumento. Se siamo stonati è perché abbiamo un pezzo di tecnica da mettere ancora a posto.

"Ci ho già lavorato, sono a posto"
Ho commesso anch'io l'errore di credere che essere intonati sia come andare in bicicletta. Ma non è così. Ho trascorso, come molti di voi, parecchi anni a suonare in ensemble di flauti (dove l'intonazione è critica, a voler fare le cose seriamente), ho suonato diverse volte in orchestre o piccoli ensemble barocchi dove ho misurato la capacità di discriminare a orecchio differenze d'intonazione di meno di 5 cent. Ho trascorso letteralmente anni a fare quotidianamente esercizi d'intonazione con l'aiuto di un accordatore elettronico (facendogli emettere dei suoni continui e cercando su di essi le varie intonazioni). Sembrava andare tutto bene. Eppure…
Nell'ultimo anno mi sono trovato molto più spesso a suonare il flauto dolce con strumenti moderni, in situazioni jazzistiche, anche in big band (18 o più elementi), quindi con temperamento equabile, diapason spesso leggermente più alto del solito (441/2 Hz), e strumenti dalle componenti armoniche non sempre facilissime da individuare (pensate a un pianoforte…). Inutile dire che ho faticato parecchio per ritrovare la mia intonazione che, inizialmente, era quasi del tutto persa: stonavo di brutto!
Il fatto è che in ambito di musica antica, con strumenti adeguati, l'aria è piena di armonici che se vogliamo essere così gentili da ascoltarli ci ricambiano il favore dandoci delle indicazioni molto precise su dove piazzare le nostre note. Ma con uno strumentario moderno le cose sembrano molto più complicate e l'intonazione, in definitiva, sembra molto più un affare individuale (ma pur sempre legato a quello che fanno gli altri). Ancora una volta, mettersi alla prova in contesti nuovi fa sempre venire fuori qualche area grigia nella nostra tecnica.

Le orecchie queste sconosciute
Va bene, essendo io stesso un ex amatore adulto so cosa vuol dire vedersi dare addosso da titolati professionisti per il sol fatto di essere amatore. Quindi eviterò di prendermela con questa categoria, anche perché non è necessario: su You Tube è possibile vedere diversi video di professionisti anche dotati di una certa notorietà che sparano cazzate a raffica (scuserete il francesismo) su come suonare il flauto dolce, salvo poi farci sentire pietose esecuzioni. Non è il solito parlarsi contro fra capponi, c'è un elemento oggettivo da tenere da conto: nella musica vincono sempre le orecchie. Ti può piacere l'energia di un'esecuzione, la scelta di un programma o di uno strumentario, un arrangiamento originale, la qualità della scrittura compositiva, ma se poi chi suona è stonato e/o non ha suono, tutto cade miseramente nella cialtroneria. E se essere amatori non vuol dire in nessun caso potersi permettere di essere cialtroni, figurarsi per chi lo fa di mestiere!
L'intonazione e la quantità di suono sono elementi fisici misurabili, e non elementi estetici soggettivi: il primo passo è dunque cominciare a prestarvi attenzione e farli rientrare nella nostra griglia di autovalutazione.

Non è una questione di gusto
Vi immaginate se uno scrittore o, peggio, un giornalista cominciasse a scrivere in maniera sgrammaticata? E se a noi che glielo facessimo notare rispondesse che tanto non lo fa di professione? O che si tratta di una scelta stilistica? O che siamo troppo pignoli, bisogna guardare all'insieme dell'articolo? Sarebbe ridicolo oppure no? Si tratterebbe o no di un caso d'incompetenza cialtronesca?
È forse diverso per la musica e per il nostro piccolo, sottovalutato, strumento?